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Testi tratti dal Libro "Parrocchia e Solidarietà Familiare: sacramento di comunione" di Marco Giordano, Punto Famiglia Editrice, 2014 (per ricevere il testo completo del Sussidio)
3. SOLIDARIETA' CONDIVISA. PERCHE' AGGREGARE LE FAMIGLIE SOLIDALI? COME AGGREGARLE?
AGGREGARE LE FAMIGLIE SOLIDALI: CONDIVISIONE, FORMAZIONE, RESPONSABILIZZAZIONE
La "via relazionale" al coinvolgimento di nuove famiglie solidali
Fin dalle prime iniziative di coinvolgimento di nuove famiglie solidali è necessario che i promotori, oltre a proporre le attività concrete in cui tali famiglie sono invitate ad impegnarsi, attivino un adeguato processo di incontro-
Detta in altri termini: è necessario che l’invito a partecipare a delle attività pratiche sia integrato anche da un’offerta di relazioni. Anzi, a ben vedere, le relazioni addirittura devono poter precedere (sia cronologicamente che in termini di importanza) il fare.
Cenni e indicazioni in tal senso li troviamo fin già nella Carta Pastorale della Caritas Italiana del 1995, laddove si suggerisce che gli itinerari di promozione volti a «coltivare espressioni del "dono sincero di sé e favorire la diffusione di stili di gratuità» siano «tendenzialmente sempre comunitari» (Caritas Italiana, Lo riconobbero nello spezzare il pane, 41).
L’importanza di questo doppio binario è confermata dagli scarsi esiti di coinvolgimento che ottengono le iniziative incentrate solo sull’invito ad impegnarsi.
La distribuzione di volantini, l’affissione di locandine e manifesti, gli annunci in occasione delle celebrazioni domenicali, ... sortiscono effetti assai modesti, per lo più limitati a coloro che già frequentano la parrocchia assiduamente.
Coinvolgere anche i "cristiani della domenica" o, addirittura, coloro che non frequentano affatto, è cosa quasi impossibile con la semplice attività promozionale.
Per invertire la tendenza occorre scommettere sulla "via relazionale" alla diffusione della solidarietà familiare. L’inefficacia degli "inviti generali" non va risolta aumentandone l’intensità, moltiplicandone la frequenza, investendovi ulteriori fondi, …
La risposta non va cercata negli aspetti tecnico-
Numerose esperienze mostrano come si raggiungano maggiori risultati allorquando l’informazione e la sensibilizzazione sono veicolate per il tramite delle reti relazionali dirette.
Uno slogan molto chiaro è "partecipo se mi fido". Non che la comunicazione collettiva siano in assoluto inutile. Va considerata, però, per quello che è, e cioè essenzialmente uno strumento di informazione.
Eccetto casi di famiglie già molto motivate, la "gente normale" mette in conto l’ipotesi di impegnarsi nelle strade della solidarietà familiare soltanto se la proposta gli arriva non da un volantino o da un annuncio generale ma dall’invito diretto fattogli da una persona che già conosce (e di cui si fida).
Il parroco e gli operatori pastorali che volessero promuovere efficacemente la solidarietà familiare dovranno mettere in conto di farsi innanzitutto promotori di fiducia.
Come pure dovranno mettere in conto di coinvolgere alcune famiglie facilitatrici/aggregatrici. Più che cercare di incontrare famiglie già pronte alla solidarietà, bisogna lavorare a monte, favorendo la costruire di legami interpersonali tra le famiglie ordinarie, nella convinzione che è solo su un forte terreno relazionale che può germogliare la pianticella della solidarietà.
Il parroco, gli operatori pastorali e le famiglie aggregatrici si impegneranno quindi nella costruzione di una comunità solidale proponendo alle famiglie della parrocchia e del quartiere di impegnarsi in uno stare insieme relazionale e solidale.
Più solitudine, meno gratuità
Partecipo se mi fido! Questo slogan fa eco al monito lanciato dal Dipartimento di Sociologia dell’Università delle Calabrie: «un aspetto fondamentale di questo tempo notturno è la crisi dell’essere-
Si evidenzia quindi un forte collegamento tra la riduzione delle relazioni interpersonali e l’erosione dello spirito di gratuità presente nel contesto sociale. Crinale riassumibile con l’equazione «più solitudine = meno gratuità». 1 Marcello G., 2010, Costruzione sociale delle reti di vicinanza e resistenza alla frammentazione delle relazioni, in Segnali di Comunità. Riflessioni ed esperienze che ritessono legami, Edizioni Rosso Fisso, Salerno.
Per una solidarietà familiare, possibile e consapevole
A partire dalle considerazioni di cui sopra è possibile sviluppare una "strategia di promozione della solidarietà familiare" che punta sull’implementazione di tre dimensioni complementari: la responsabilità; la riflessività; la condivisione.
Le prime due dimensioni sono generalmente sviluppate in tutte le parrocchie e le realtà ecclesiali in cui ci si impegna a promuovere la solidarietà familiare.
Difatti intendiamo:
con "responsabilità", il sollecitare i nuclei familiari a dedicare tempo, attenzione ed energie per bambini, ragazzi, famiglie in difficoltà, …;
con "riflessività", il proporre appuntamenti periodici di formazione e approfondimento in merito agli obiettivi ed al senso della solidarietà familiare, nonché di formazione relativa al "come operare bene".
Ciò che nelle esperienze concrete appare poco sviluppata è la dimensione della "condivisione" , cioè l’attenzione posta anche sull’invito a spazi di reciprocità e mutualità tra le cosiddette famiglie solidali.
A partire dal confronto informale sui propri vissuti fino ad arrivare alle forme del reciproco aiuto concreto nelle esigenze quotidiane come l’andare e venire dei figli da scuola e dalla palestra, la gestione delle piccole emergenze e urgenze familiari, etc.).
Queste considerazioni trovano sponda in uno studio sulle reti di solidarietà familiare condotto dal Pontificio Ateneo Salesiano di Roma, dal quale emerge che «il fondamento di una famiglia "risorsa" è nello stile di risposta al proprio "bisogno e che pertanto la capacità di essere famiglia accogliente/solidale dipende in buona sostanza dal modo (individuale o comunitario) con cui si dà risposta alle proprie esigenze quotidiane».
Su tali basi, la traiettoria da seguire è quindi quella della costruzione di relazioni di stima reciproca, di fiducia, di amicizia, in cui si impara a camminare consapevolmente insieme.
Percorsi di condivisione tra famiglie solidali
Chiarita l’importanza della condivisione tra le famiglie solidali, si pone una domanda di ordine pratico: cosa concretamente si deve condividere? In modo semplice potremmo dire che va condivisa "la vita", cioè la quotidianità, sia nelle sue pieghe ordinarie che nelle sue punte straordinarie.
Più in dettaglio possiamo individuare due macro aree:
la condivisione delle gioie. in un testo edito da Gribaudi nel 1998 il card. Carlo Maria Martini sottolineava che alle radici dell’etica sociale evangelica ci sono la gioia e la pace. Detta in altri termini, l’impegno al servizio e l’attenzione verso chi soffre (c.d. etica del servizio) si regge nella misura in cui è bilanciato da un adeguato spazio di condivisione del gaudio e della serenità (c.d. etica della gioia). Condividere le gioie è, inoltre, una delle strade maestre per entrare, gradualmente e senza invadenza, in una progressiva confidenza. Ecco allora che compleanni, feste, gite, giochi non sono semplicemente occasioni di svago, bensì acquisiscono il valore di "spazi di avvicinamento", di sintonizzazione, di prossimità.
la condivisione dei bisogni. La condivisione delle difficoltà e dei problemi, intesa come prossimità e aiuto reciproco, gioca un ruolo determinante per la tenuta nel tempo della disposizione solidale e della partecipazione al gruppo. Occorre però rilevare che condividere i problemi, cioè chiedere e dare aiuto, non è affatto semplice, specie al giorno d’oggi. Varie possono essere le strategie per reagire a questa apparente situazione di stallo relazionale. Una delle strade è partire dalla condivisione delle gioie (di cui al punto precedente) per entrare gradualmente in confidenza ed essere così abilitato a condividere anche i bisogni.
Il mito della self-
Nella cultura occidentale impera indiscusso il mito del self-
Facilitare la nascita delle relazioni
Alcune volte queste dinamiche sono sufficienti. Nel più dei casi occorre qualcosa di più forte che faciliti la "rotture del ghiaccio". Assai utili in tal senso possono essere:
alcune persone facilitatrici di relazione: sono quelle che chiamiamo "famiglie aggregatrici". Esse possono impegnarsi in un lavoro di "reticolazione relazionale", cioè fare in modo che ciascuna famiglia man mano conosca tutte le altre. A tal fine coglierà ogni occasione e ne creerà di apposite. Ad esempio, l’invitare contemporaneamente a cena due nuclei familiari, in modo che entrino in confidenza e si auto-
alcune iniziative facilitatrici di condivisione emotiva: facciamo riferimento ai percorsi di mutuo aiuto emotivo, accompagnati da un esperto, su un’area di bisogno comune. Ad esempio sono assai utili i percorsi di confronto tra genitori sugli stili educativi e sulle difficoltà quotidiane inerenti la gestione della relazione genitori-
alcune iniziative facilitatrici di condivisione pratica: utili può essere anche l’organizzazione di alcune forme organizzative che favoriscono l’aiuto reciproco, quali ad esempio la banca del tempo della solidarietà familiare (per l’accompagnamento dei figli a scuola o in palestra, la realizzazione dei compiti scolastici pomeridiani, ...). Sarà però attenzione del facilitatore di relazioni (l’aggregatore) di integrare questi strumenti organizzativi con adeguate occasioni di incontro, conoscenza e vicinanza emotiva, onde evitare la banca del tempo possa diventare una filtro distanziante, foriero di connessioni "solo pratiche" e superficiali. Così come sarà utile accompagnare le famiglie a maturare forme spontanee di sostegno reciproco, senza il bisogno di una costante facilitazione.
La scommessa vincente: lavorare nel micro, per promuovere nuovi cortili e reti di parentela sociale
Un ultimo gruppo di considerazioni va fatto in merito all’ampiezza geografica del contesto in cui si va ad operare.
Ebbene la scommessa è vincente se si sceglie di lavorare nel micro-
Sono questi infatti gli spazi del "possibile", dove la solidarietà reciproca può intrecciarsi facilmente con le altre incombenze della vita quotidiana, perché è più facile accompagnare un bambino a scuola se frequenta la stessa classe di mio figlio, così come è più facile fare la spesa ad un anziano se abita vicino a casa mia e se il supermercato è lo stesso nel qualche anch’io mi rifornisco.
Sono questi gli spazi degli antichi cortili della solidarietà "meccanica" (quella cioè che sorgeva spontaneamente tra vicini di casa, come conseguenza dell’omogeneità degli status sociali e dell’impossibilità a "farcela da soli") dove è possibile generare nuovi cortili solidali, non più automatici, ma costruiti consapevolmente.
Sono questi i luoghi dove la rete di fiducia e di mutualità, se tessuta costantemente, diventa percepibile, respirabile, fino a svilupparsi in quel "senso comune" di cui parlava Alfred Schutz riferendosi ai valori implicitamente accettati, che divengono cultura vissuta.
Ritorna qui il tema della pedagogia dei fatti, che «si pone come obiettivo la crescita dell’intera comunità attraverso esperienze concrete, significative, partecipate» (Caritas Italiana, Da questo di riconosceranno, 36-
Operare nel micro chiede tuttavia delle attenzioni specifiche. Innanzitutto quella di distinguere i "centri formali" (la parrocchia, ma anche la scuola, la sede di un’associazione, ...) dai "centri informali" (le abitazioni delle famiglie facilitatrici-
Distinguere per connettere e "sinergizzare", perché vi sono alcuni aspetti e passaggi che possono essere efficacemente governati solo a partire dal luogo formale ed altre solo nei luoghi informali. Ad esempio è:
nelle case (centri informali) dove avranno luogo gli appuntamenti "di vicinato" e cioè i percorsi di condivisione tra le famiglie, di costruzione di vera prossimità, di aiuto concreto nelle difficoltà della vita quotidiana. Non tutte le case, però, ma quelle delle famiglie aggregatrici, di coloro cioè che scelgono di farsi attivi promotori di vicinanza e mutualità. Man mano si cercherà di infittire la rete delle case "solidali", avendo come meta ultima -
Si tratta dunque di un approccio poli-
É importante precisare che, all’interno del quartiere, le relazioni di vicinato non vanno intese soltanto in senso fisico-
Ulteriori possibili connessioni saranno individuabili integrando tale griglia con l’indicazione dei "bisogni emergenti": neonati, anziani e disabili da accudire; figli in età scolare da aiutare nei compiti pomeridiani; ragazzi, disabili e anziani da coinvolgere; genitori in difficoltà da sostenere; etc.
Ne scaturisce così una "mappa nella mappa" (la mappa parrocchiale dei bisogni di prossimità solidale, come indicato nella Figura 4) che permette di favorire ulteriori connessioni, oltre che di individuare bisogni scoperti e strategie di intervento.
Il tutto anche considerando che vi sono alcune categorie di bisogno, come il sostegno nei compiti pomeridiani, che possono trovare risposta collettiva, altre categorie che sono complementari (come l’anziano o il disabile da coinvolgere che possono dare una mano nel sostegno scolastico pomeridiano dei bambini), altre ancora che non sono sommabili e richiedono quindi impegni individuali, come ad esempio l’accudimento di un anziano allettato.
Nella Figura 4 è presente un bordo tratteggiato che ipotizza una interazione tra persone/famiglie di cortili diversi, accomunate da bisogni analoghi o complementari.
Si tratta ovviamente di una mera ipotesi da verificare, ed eventualmente rigettare o modificare, in base alle reali possibilità e disponibilità di interazione tra le famiglie.
Questa fitta rete di vicinato e solidarietà, se sana e stabile, svilupperà nel tempo rapporti di amicizia molto forti, fino a dar vita a vere e proprie relazioni di parentela sociale.
LE FAMIGLIE AGGREGATRICI
Profilo delle "famiglie aggregatrici"
L’esperienza pratica, supportata da numerosi studi sociologici e psicologici sulle reti familiari, mette in evidenza che un nuovo gruppo di famiglie nasce e, soprattutto, cresce e dura nel tempo, se al proprio interno vi sono alcuni membri che, per indole propria, stimolano lo spirito aggregativo e collaborativo tra le persone. Spirito che vivono e che trasmettono agli altri favorendo lo sviluppo del reticolo di relazioni interpersonali e interfamiliari che da vita al gruppo.
Tali famiglie, che definiamo "Natural Aggregator", hanno "per natura" (o meglio per storia personale, carattere, status, ...) una spiccata competenza pro-
Sono persone che, nella vita quotidiana, in modo assolutamente informale e spontaneo, intessono e favoriscono relazioni "calde" con le altre persone che frequentano la parrocchia, con i vicini di casa, con i colleghi, con i genitori dei compagni di scuola dei propri figli, ... Spesso frequentano, a vario titolo e con varia intensità, I gruppi parrocchiali, le associazioni di quartiere, ... Altre volte sono impegnati negli organi di rappresentanza scolastica. In altri casi non sono coinvolte in contesti formali particolari, pur vivendo e diffondendo relazioni di vicinanza. Tutte "abitano" la parrocchia, il quartiere e il territorio intessendo micro-
Sono dunque famiglie che possiedono caratteristiche personali e relazionali tali da favorire una comunicazione efficace e da stimolare spirito aggregativo e collaborativo tra le persone.
Più in dettaglio il profilo di tali persone è caratterizzato dai seguenti indicatori (da tenere presenti durante il lavoro di individuazione): naturale capacità aggregativa; buona attitudine all’iniziativa; semplicità nell’approccio relazionale; apertura agli altri; buona competenza comunicativa; buona abilità empatica; buona capacità di coinvolgimento e di attivazione di energie; buona capacità di attenzione al vissuto dell’altro; buona competenza nella rilevazione degli altrui bisogni; buona capacità di leggere tra le righe del bisogno ed attivare strategie di inclusione e condivisione; forte adesione alla dimensione progettuale di tipo preventivo.
È importante aver chiaro che non sempre le "persone più disponibili" in termini di tempo, o più "capaci" sul piano organizzativo, sono anche dei buoni aggregatori. Andrà dunque utilizzata molta attenzione nell’individuare le persone a cui fare la proposta. Importante infine precisare che l’impegno di aggregatori può essere svolto con vari gradi di intensità, ivi compresa la possibilità, per coloro che non avessero molto tempo disponibile, di limitarsi ad aggregare un piccolo numero di famiglie (anche "solo" 2-
Individuazione e coinvolgimento delle famiglie aggregatrici
Date le premesse di cui sopra, un percorso che volesse favorire la nascita di un gruppo parrocchiale di famiglie solidali, farà bene a porre l’attenzione innanzitutto sull’individuazione e sul coinvolgimento delle famiglie aggregatrici. Si tratta di un vero e proprio lavoro da talent scout (cioè di "ricerca dei talenti"). Vari possono essere gli approcci attraverso i quali una parrocchia può individuare le famiglie natural aggregator da coinvolgere. Ogni modalità ha i suoi punti di forza e di debolezza. Il tipo di intervento deve inoltre modularsi a seconda delle caratteristiche specifiche del contesto parrocchiale in cui si interviene. Si presentano, senza pretesa di completezza, alcune delle possibili modalità:
Coinvolgimento delle famiglie aggregatrici già note al parroco. La prima modalità da attivare è quella di provare a coinvolgere -
Ricerca di nuove famiglie aggregatrici tra quelle frequentanti la parrocchia. Non di rado capita che le famiglie "brave e disponibili" note al parroco siano già impegnate in una o più attività parrocchiali (catechismo, coro, ...). Si pone pertanto la necessità di cercarne di nuove da coinvolgere. L’esperienza dimostra che spesso vi sono buone famiglie aggregatrici che frequentano la parrocchia senza avere già altri impegni o incarichi precisi.
Molto variegate sono le modalità di individuazione di tali famiglie. In genere vengono in evidenza in occasione di determinate iniziative che valorizzano l'attitudine aggregante. Ogni parrocchia svilupperà, con concretezza e creatività, le iniziative che maggiormente si confanno al contesto. Illustriamo di seguito alcuni esempi:
la recita del Santo Rosario "Familiare" nelle case. Se la recita del Rosario nelle case è promossa in "chiave familiare", cioè realizzata chiedendo alle famiglie con figli che frequentano la parrocchia di riunire a casa propria alcune famiglie amiche con figli coetanei, metterà in evidenza quali sono le famiglie che riescono a radunare altre famiglie e che aprono facilmente le porte della propria casa (requisito indispensabile per essere buoni aggregatori);
i tornei parrocchiali con "squadre pluri-
gli incontri domestici di formazione e confronto sugli stili educativi. Con la collaborazione di un consultorio familiare di ispirazione cristiana o di un'associazione familiare si può si può coinvolgere un esperto di relazioni educative (psicologo, psicopedagogista, counselor, ...) e proporre alle famiglie della parrocchia che hanno figli in età scolare di riunire a casa loro altri genitori con figli coetanei ai quali dedicare alcuni incontri di formazione e confronto sugli stili educativi. Anche in questo caso l’iniziativa metterà in evidenza quali famiglie hanno l’attitudine ad aggregare altre famiglie e ad aprire le porte di casa.
la rete dei "messaggeri" parrocchiali "familiari". Quella dei messaggeri parrocchiali è una formula già attiva in varie realtà parrocchiali, e consiste nell'individuazione, per ogni piccola porzione del territorio parrocchiale (un isolato, un condominio, un gruppetto di case, ...), di una persona frequentante la parrocchia (e residente in tale porzione territoriale) alla quale viene dato l'incarico di diffondere notizie, informazioni, inviti inerenti l'attività parrocchiale e, al contempo, di segnalare alla parrocchia eventuali notizie di rilievo relative alle persone e famiglie che ivi risiedono (bisogni particolari, difficoltà, ...). Ebbene, questa formula, già di per sé "molto comunitaria", può essere ulteriormente sviluppata declinandola in chiave familiare, cioè individuando non messaggeri singoli, ma "famiglie messaggere" (figli compresi) e invitandole a interagire innanzitutto con le altre famiglie del loro condominio, isolato, ... Questa modalità, oltre che molto utile in sé, permetterà in breve tempo di evidenziare le maggiori o minori attitudini aggreganti delle famiglie messaggere, preparando il successivo sviluppo di reti di solidarietà.
In ogni territorio e contesto possono essere attivate ulteriori specifiche modalità di scouting: organizzazione partecipata di feste di parrocchiali o di passeggiate per famiglie, pubblicizzazione di cicli di formazione per "aspiranti animatori di reti familiari". Altre famiglie aggregatrici possono essere individuate attraverso la sinergia con le scuole -
Individuate le potenziali famiglie aggregatrici occorre realizzare alcuni incontri di chiarificazione che permettano alle famiglie stesse di comprendere meglio quali sono i termini della la proposta e quindi di confermare (o ritirare) consapevolmente la disponibilità data.
Gli incontri permettono al contempo di conoscere meglio le famiglie coinvolte e quindi di valutarne le effettive capacità di aggregazione e un’adeguata propensione solidale. A tal fine la parrocchia realizzerà, con l’aiuto di un esperto di dinamiche psicologiche e relazionali, un ciclo di incontri "introduttivi/motivazionali".
Formazione e accompagnamento delle famiglie aggregatrici
Individuate le famiglie disponibili ed idonee a svolgere il ruolo di aggregatore potrà iniziare il coinvolgimento e l’animazione di altre famiglie e persone della parrocchia disponibili ad impegnarsi in attività di solidarietà familiare. Ci soffermiamo qui di seguito a descrivere le modalità con le quali accompagnare l’impegno delle famiglie aggregatrici.
«Se nessun compito e nessun impegno si possono improvvisare, tanto meno è possibile divenire animatori parrocchiali senza una adeguata formazione. Per formazione si intende non solo una competenza tecnica o organizzativa. Si tratta invece di una formazione innanzitutto al senso e all’esperienza di Chiesa, che si esprime attraverso una partecipazione alla vita della propria comunità, alla sua preghiera e ai momenti di catechesi». Così viene introdotto il tema della formazione in un sussidio del Gruppo nazionale per la promozione delle Caritas parrocchiali pubblicato nel 2000 e che ben si applica al nostro discorso sulle "famiglie aggregatrici".
Custodendo dunque questa cornice riteniamo utile che la Parrocchia mettere in conto di:
attivare l’équipe parrocchiale della solidarietà familiare. il parroco e gli operatori pastorali avranno cura di riunire periodicamente (ogni 2-
realizzare la formazione permanente e la supervisione periodica delle famiglie aggregatrici. Il buon andamento del percorso richiede che periodicamente gli aggregatori proseguano l'approfondimento formativo e che anzi possano giovare anche dell'accompagnamento di uno sguardo esperto (il supervisore) che li aiuti a comprendere e riflettere sul loro vissuto e sul processo in atto.
Per assicurare tali percorsi di formazione e supervisione è necessario che la parrocchia si faccia aiutare da esperti di relazioni e animazione comunitaria. Potranno essere esperti locali, individuati dalla parrocchia stessa, o esperti messi a disposizione da una associazione di famiglie solidali o da un consultorio familiare di ispirazione cristiana eventualmente presente o dalla diocesi qualora su questi fronti siano attivi la Caritas diocesana o l’ufficio diocesano di pastorale familiare.
4. GRUPPI PARROCCHIALI DI FAMIGLIE SOLIDALI. COME FARLI NASCERE? COME FARLI CRESCERE?
COSTRUIRE GRUPPI DI FAMIGLIE SOLIDALI
La nascita dei gruppi
Il compito principale della famiglia aggregatrice è accompagnare l’avvio (il c.d. start-
La condizione necessaria per avviare un gruppo è che le famiglie stesse siano disponibili ad operare nel campo della solidarietà e intenzionate a farlo con gli altri. Senza questa intenzione la famiglia aggregatrice non può far nulla. Parimenti, se le persone sono ben disponibili allora, con l’aiuto della famiglia aggregatrice, si possono fare ottimi percorsi e raggiungere traguardi significativi. Ne consegue che una delle principali attenzioni della famiglia aggregatrice è quella di promuovere la motivazione delle altre famiglie.
Ciò premesso, prendendo a riferimento i consigli di Alan Twelvetrees (relativi in generale al ruolo degli operatori impegnati nel community work, cioè nel lavoro di comunità), possiamo ritenere che l’impegno delle famiglie aggregatrici, oltre che nel lavoro di individuazione e coinvolgimento delle famiglie disponibili, debba concentrarsi nel:
analizzare i bisogni e le risorse delle varie persone coinvolte;
mettere insieme le persone, aiutarle a condividere taluni bisogni specifici, supportandole nel proposito di soddisfarli insieme;
comprendere insieme alle altre famiglie quali obiettivi concreti prefiggersi;
costituire e a mantenere nel tempo organizzazione e attività adatte a rispondere agli obiettivi;
impegnarsi insieme agli altri ad identificare e acquisire risorse, in termini di conoscenze, abilità, denaro, contatti, attrezzature;
accompagnare il gruppo nel fissare le priorità, nel valutare linee d’azione alternative, nello stendere un piano d’azione, che precisi i compiti di ciascuno;
aiutare ciascuno a realizzare i compiti assunti ed a condividere periodicamente con gli altri membri del gruppo i risultati conseguiti, per valutarli insieme, eventualmente modificando gli obiettivi iniziali o la modalità di perseguirli.
Man mano che il cammino procederà attraverso tutti questi passaggi il gruppo prenderà forma e i vari membri acquisiranno la consapevolezza di farne parte.
In questo percorso l’aggregatore deve saper comprendere i bisogni di ogni singolo membro del gruppo, tenendo in conto che, accanto alle singole personali situazioni, sono sempre presenti, seppur in forma differenziata, bisogni di affermazione di se stessi, bisogni di stare, fare e comunicare con gli altri, bisogni di non essere fagocitati dal gruppo, bisogni di espansione (cioè di appoggio, simpatia, amicizia, …). L’aggregatore favorisce in ciascuna persona lo sviluppo di una disposizione positiva verso gli altri, di riconoscimento del valore delle esperienze altrui. Centrale è la propensione al confronto e la convinzione che ogni cosa che una persona fa o pensa, ha un motivo. Ascolto, scambio, confronto che si reggono anche sulla disponibilità a mettersi in discussione.
L’attivazione pratica del gruppo presuppone una graduale maturazione delle capacità delle famiglie di pensare e realizzare azioni comuni. Si tratta di una fase non scontata né veloce, nella quale l’aggregatore deve saggiamente saper attendere. È infatti sempre in agguato il rischio di farsi prendere la mano, accelerando sull’aspetto operativo-
È principalmente l’aggregatore che deve impegnarsi ad individuare nuove persone. Come già detto sopra la via maestra è costituita dai contatti personali, soprattutto nella fase iniziale. Quando il gruppo (o i gruppi) inizieranno ad avere una loro fisionomia– e quindi qualcosa da proporre agli altri – sarà possibile tentare di individuare ulteriori membri attraverso altre attività, così come ipotizzato nelle pagine precedenti. Individuate nuove persone interessate, sarà importante organizzare subito uno o più occasioni informali di conoscenza, coinvolgendo alcuni altri membri del gruppo.
Guidare i gruppi
L’aggregatore del gruppo di famiglie solidali svolge la funzione di guida, sia degli aspetti relazionali che di quelli operatori. Particolare attenzione andrà dedicata innanzitutto alla qualità dei momenti in cui il gruppo si incontra. L’aggregatore svolge a tale riguardo una funzione flessibile, talvolta ponendosi come stimolatore, altre come rallentatore, o talora come moderatore, altre come conduttore. In alcuni casi le persone che accettano l’invito dell’aggregatore si conoscono già tra di loro, il che, se da un certo verso facilita le cose, dall’altro crea il rischio di ridursi a chiacchierare del più e del meno. Occorre che l’aggregatore faciliti gli scambi di conversazione informali, ma anche che sappia custodire il discorso da derive o pantani, orientandolo sulle specifiche questioni che hanno motivato l’incontro. L’aggregatore è attento a che la conversazione di gruppo non diventi una sorta di dibattito, dove ognuno cerca di imporre agli altri i propri punti di vista, ma mantenga il clima del confronto consapevole, condiviso e organizzato. A tale scopo l’aggregatore «potrà intervenire, fare delle domande o delle osservazioni, dire ai partecipanti quel che pensa che dovrebbero fare, dare loro informazioni, … è possibile che servano diversi incontri prima che le persone si concentrino davvero sui bisogni da affrontare, e sugli obiettivi che ne conseguono. In questo percorso potrebbero emergere diversità di obiettivi tra le persone, o delle personalità più spigolose o intransigenti delle altre, al punto da rendere difficile la cooperazione all’interno del gruppo. Può darsi, di conseguenza, che alcuni non si presentino più. È importante, comunque, non perdere lo slancio». Quando le persone coinvolte nel gruppo non si conoscono previamente tra loro l’attenzione dell’aggregatore è concentrata a rompere il ghiaccio, facendo in modo che si riduca il normale senso di imbarazzo che si prova nel dover parlare con persone estranee. In genere questa circostanza può essere superata agevolmente soltanto se, fin da subito, l’aggregatore promuove momenti e situazioni informali (ad esempio il prendere insieme un caffè) sia a latere dell’incontro che organizzando altre occasioni. Importante sarà poi la scelta di affrontare, per i primi incontri, argomenti di discussione sui quale più facilmente ciascuno possa dire la propria. In questo modo si ridurrà l’ansia dei singoli partecipanti ed inoltre sarà più facile tenere viva la conversazione.
L’aggregatore deve saper favorire la creazione di un clima di rispetto reciproco e di tolleranza verso i limiti altrui, l’attenzione verso i sentimenti e i punti di vista di ognuno.
Parimenti l’operatore avrà l’attenzione di contenere eventuali eccessi di protagonismo o di interventi logorroici, avrà cura di stemperare eventuali affermazioni di alcuni eccessivamente dure o giudicanti, favorirà la partecipazione al discorso anche da parte delle persone più timide o taciturne, stimolerà interventi pertinenti all’argomento oggetto dell’incontro.
Un’attenzione particolare va prestata ai nuovi arrivati, o a coloro che partecipano in modo meno assiduo, i quali sono, in genere, meno informati degli altri e, pertanto, vanno curati con attenzione affinché comprendano anch’essi il senso degli incontri e vi partecipino attivamente.
Negli incontri è bene che l’aggregatore abbia chiaro verso quali obiettivi vuole condurre il gruppo.
Parimenti egli deve saper mutare i propri piani e, soprattutto, adattare la tempistica ed il percorso alle esigenze che emergono dal gruppo, più che a programmi predefiniti.
Quando vi sono elementi che fanno prevede un incontro complesso (per problematicità dei temi da affrontare, per il tenore delle relazioni, per eventuali problemi o stati emotivi emersi nei giorni antecedenti l’incontro, …) è importante che l’aggregatore prepari con particolare attenzione l’incontro, individui con chiarezza i possibili passaggi critici, ove possibile intervenga con alcuni contatti previi per placare gli animi eventualmente agitati, …
In questi casi l’incontro, pur se caricato di tensioni, può divenire l’occasione per dirsi le cose chiaramente, svolgendo così anche una funzione catartica e di decompressione degli animi.
Sarà però assai determinante il modo in cui l’aggregatore affronterà le discussioni, mostrandosi aperto al confronto ma moderando eventuali situazioni di conflitto ed evitando accortamente di finirvi implicato, contendendo e non alimentando possibili polemiche o critiche disfattiste, facendo emergere la convinzione che non sempre comportamenti reattivi o di chiusura sono manifestazione di negatività ma che spesso celano timidezza, bisogni di comprensione e di sicurezza, che a volte le difficoltà nascono da reciproca incomprensione più che specifiche ostilità … insomma non evitando i problemi ed aiutando il gruppo ad affrontarli, ma anche a circoscriverli, nella consapevolezza che essi sono in parte fallaci e sovente neanche completamente risolvibili.
L’aggregatore deve inoltre tener presente che, non di rado, la partecipazione delle persone al gruppo è mossa non solo dai motivi dichiarati e manifesti, ma anche da scopi latenti, non sempre funzionali alla crescita del gruppo.
In tali casi, accanto alla valutazione delle singole questioni e circostanze, può essere di grande aiuto per l’operatore il far riferimento al metodo senza perdenti (in alternativa al metodo vinci-
Efficace è infatti l’intervento che riesce a soddisfare al meglio i bisogni di tutti i membri del gruppo (e del gruppo nel suo insieme) e che si sostanzia nel ricercare accordi sufficientemente accettabili, tramite;
l’esplicitazione e la reciproca comprensione del conflitto in termini di preoccupazioni, timori, sentimenti, bisogni, … manifestandoli con messaggi in prima persona e senza scadere in accuse, giudizi, offese (ad esempio dire "mi sento in difficoltà" è assai preferibile al dire "mi hai messo in difficoltà");
l’esplorazione e valutazione delle varie soluzioni possibili (esplicitando le varie ipotesi e confrontandole tra loro, fino ad individuare la modalità che favorisce la maggiore soddisfazione comune).
Per far sì che il gruppo funzioni (cioè sia in grado di assolvere in modo efficace e democratico le decisionali, le funzioni operative e le funzioni relazionali), può essere utile imitare alcuni aspetti delle organizzazioni formali: l’assegnazione di compiti precisi, la definizione di calendari delle attività, la distinzione tra responsabilità di indirizzo e responsabilità attuative.
Un motto interessante, suggerito da Giovanni XXIII alla Pontificia Opera Assistenza , può ben adattarsi al ruolo dell’aggregatore di un gruppo di famiglie solidali: «fare, saper fare, dar da fare, lasciar fare».
RETE PARROCCHIALE DEI GRUPPI DI SOLIDARIETÀ FAMILIARE
Équipe parrocchiale della solidarietà familiare
In base al percorso fin qui ipotizzato, nella parrocchia impegnata a promuovere la solidarietà familiare dovremmo essere giunti al punto di avere la presenza di uno o più gruppetti, ciascuno composto da alcune famiglie solidali ed animato-
Come abbiamo detto ciascuno di questi gruppetti è ben coeso, molto attivo nell’aiuto reciproco e nell’inclusione di talune famiglie in difficoltà.
Qualora si tratti di più di un gruppo, occorre riflettere su quali debbano essere i rapporti tra tali gruppi. Vi sono attività comuni? Tutti fanno tutto o c’è una precisa organizzazione da seguire? Quale ruolo giocano il parroco e gli operatori pastorali incaricati di sviluppare la solidarietà familiare in parrocchia? C’è una regia decisionale condivisa e chi fa la verifica e programmazione delle attività parrocchiali in questo ambito?
La risposta ad alcuni di questi quesiti risiede nell’attivazione di un’équipe parrocchiale della solidarietà familiare, alla quale già abbiamo accennato, guidata dal parroco o da operatore pastorale da lui delegato, e composta dalle famiglie aggregatrici dei vari gruppetti.
Un’équipe che si riunisce periodicamente (almeno ogni 2-
Sul piano pratico, le attività da realizzare in collaborazione tra i vari gruppetti di famiglie solidali, sono alcune delle "iniziative collettive" descritte nel Capitolo 1 e cioè passeggiate e gite, feste, piccole attività sportive di squadra e tornei familiari, attività ludico-
Al fine di integrare strettamente il percorso della solidarietà familiare con le altre dimensioni pastorali della parrocchia, sarà importante che un responsabile dell'équipe partecipi al consiglio pastorale parrocchiale.
Struttura operativa e struttura aggregativa
Man mano che il cammino procede, ipotizzando una graduale crescita sia delle attività che dei gruppi (aumento del numero dei gruppi e del numero dei membri di ciascun gruppo), si porrà la necessità di affidare la responsabilità organizzativa delle attività a persone diverse dalle famiglie aggregatrici, da non distogliere dalla responsabilità relazionale dei gruppi.
Questa distinzione si rende necessario perché quando le attività pratiche si evolvono c’è sempre il rischio che il fare schiacci le relazioni interpersonali e, con esse, il senso dello stare nel gruppo o, meglio, dell’essere gruppo.
Si tratta di un rischio che aumenta soprattutto quando i gruppi si allargano numericamente, con il sopraggiungere di nuove famiglie.
Non bisogna mai dimenticare che in un gruppo contemporaneamente "si fa" e "si è", e che ciascuna di queste due dimensioni è complementare all’altra.
Un buon rimedio per custodire entrambe le dimensioni è quello adottare una "strutturazione a matrice" cioè un modello di assegnazione dei ruoli che, come detto sopra, si basa su un doppio livello di responsabilità, uno attento alle relazioni l’altro attento alle responsabilità operative.
Curare la rete parrocchiale delle famiglie solidali
La rete parrocchiale di famiglie solidali, al pari di altri sistemi di relazioni e attività, ha bisogno di costante e consapevole cura. A tal proposito possiamo prendere spunto da alcuni suggerimenti offerti da Michele Pellerey in merito alla "coltivazione delle comunità". In particolare ci sono due spunti che appaiono particolarmente utili:
tenere fluidi i confini della rete. La partecipazione alla rete da parte delle varie famiglie si esprime a diversi livelli di intensità. Vi sarà un nucleo centrale, maggiormente presente, che di fatto assume la leadership della rete. Vi sarà poi un secondo livello, composto da coloro che partecipano frequentemente alle attività ma senza assumere particolari ruoli di responsabilità. V’è infine un terzo livello di partecipazione, la cosiddetta "partecipazione periferica", di coloro che prendono parte in modo saltuario alle attività della rete. Man mano che passa il tempo alcune famiglie solidali possono maturare maggiori disponibilità all’impegno. Altre inizialmente più impegnate possono vivere fasi di rallentamento più o meno prolungate. Alcune di queste dopo un certo tempo di riattivano, altre restano periferiche. Per questi motivi è utile "tenere fluidi" i confini della rete nel senso che sia possibile variare l’intensità della partecipazione, senza che nessuno si senta escluso o giudicato. Ciascun livello di partecipazione deve infatti potersi sentire a pieno titolo membro parte della rete.
modulare il ritmo della rete. Un’attenzione particolare va data al ritmo che caratterizza la vita della rete: l’organizzazione delle varie iniziative concrete, la cura delle relazioni e del mutuo-
Risposta della parrocchia e profilo del parroco e dell’operatore pastorale
A volte, dopo vari mesi di lavoro, ci si trova privi di risultati apprezzabili e le famiglie della parrocchia non appaiono affatto interessate o disponibili ad attivarsi. In tali casi l’operatore pastorale potrebbe essere indotto all’approssimativa, e spesso fallace, conclusione che la comunità non sia sufficientemente recettiva. Occorrerà, piuttosto, valutare la correttezza dell’intervento che si è messo in opera, in particolare verificando l’effettiva adeguatezza del bisogno/esigenza verso cui si intende lavorare e dell’operatore pastorale investito di tale compito.
In merito all’adeguatezza del bisogno/esigenza, accanto ai casi di completo errore della individuazione dell’oggetto di intervento (si è cioè proposto alla comunità di intervenire su problemi e questioni non sentite come rilevanti), più spesso ci si trova di fronte ad un difetto di "calibratura" del progetto. Detta in termini più semplici, spesso il bisogno individuato è reale ma l’attivazione che si propone alla comunità non è dimensionata alle effettive possibilità e capacità dei suoi membri. È il caso, ad esempio, delle campagne di promozione dell’affidamento familiare che spesso propongono, a persone che mai hanno avuto esperienze di contatto con il disagio sociale, di impegnarsi nell’accoglienza residenziale di bambini o ragazzi con profili socio-
Per quanto riguarda l’adeguatezza dell’operatore pastorale, oltre al possesso delle necessarie capacità relazionali e organizzative, occorre mettere in evidenza anche la necessità di un corretto profilo motivazionale. L’operatore pastorale può, infatti, riuscire nel proprio compito soltanto se ci crede e se ci mette tutto se stesso. Al cuore del lavoro di comunità si colloca infatti, come già evidenziato per le famiglie aggregatrici, la capacità di intessere con le persone relazioni di fiducia, ingrediente che si presenta sempre più come elemento necessario per il lavoro pastorale.
La costruzione della fiducia
L’operatore può costruire fiducia, soltanto a condizione di assicurare familiarità, visibilità e verità:
Familiarità, facendosi vicino e simile alle persone e alla comunità con cui si intende camminare;
Visibilità, muovendosi con trasparenza di obiettivi, di procedure, di funzioni, … favorendo la condivisione e la conoscenza profonda, facilitando il passaggio dall’ignoto (fonte di ansia) al noto (meritevole di fiducia);
Verità della relazione. Questa è la parte più impegnativa perché significa investire in modo autentico sulla creazione di una relazione … significa incontrarsi perché veramente interessati all’altro, significa investire su un rapporto che, pur nel rispetto dei ruoli, si riconosce nel medesimo humus di fondo, simmetrico e reciproco.
Rao R. (2007), La costruzione sociale della fiducia, Liguori Editore, Napoli.
VALORIZZARE I GRUPPI PRESENTI IN PARROCCHIA
Il primo e più semplice modo per promuovere percorsi di solidarietà familiare è quello di coinvolgere attivamente i gruppi già presenti nel tessuto parrocchiale.
Si tratterà di un coinvolgimento non solo operativo, in concrete azioni di solidarietà familiare, ma anche e innanzitutto un invito a prestare maggiore attenzione -
Caritas Parrocchiali
Le Caritas parrocchiali rappresentano, ove presenti, il primo soggetto dell’azione di promozione e sviluppo della rete delle famiglie solidali. Le Caritas parrocchiali infatti, salvo i casi in cui si riducono a meri gruppi caritativi, sono il principale soggetto pastorale deputato all’animazione delle famiglie del territorio alla solidarietà.
Esse infatti hanno un eminente ruolo pedagogico e lavorano affinché tutti i componenti della comunità ecclesiale locale si coinvolgano e vivano in prima persona autentiche scelte di solidarietà. Compito precipuo delle Caritas è innanzitutto ribadire la necessità di fondare l’impegno caritativo nella fede, di cui rappresenta il frutto maturo. Inoltre esse hanno il compito di assicurare le famiglie e le persone a comprendere che l’impegno solidale non è espressione di un ministero personale, bensì che la testimonianza della carità chiama in gioco l’intera comunità.
Sul piano pratico le Caritas parrocchiali possono svolgere un prezioso ruolo di affiancamento del parroco nelle iniziative di promozione della solidarietà familiare.
Talvolta inoltre alcune delle famiglie aggregatrici possono essere individuate tra i membri della Caritas, in modo da rendere ancora più saldo il legame tra la funzione pedagogica della Caritas stessa e la funzione di servizio cui è chiamato un gruppo di famiglie solidali.
Gruppi impegnati in attività solidali
Il citato sussidio sulla formazione degli animatori realizzato dal Gruppo nazionale per la promozione delle Caritas parrocchiali, dedica una scheda apposita alla presenza nella comunità parrocchiale di «associazioni, movimenti e gruppi di volontariato attenti al variegato mondo dei bisogni materiali, come i relazione e di senso di tante persone in situazione di bisogno, emarginazione e povertà».
Si tratta di realtà varie, di ispirazione cristiana, quali il volontariato Vincenziano, i gruppi locali del Movimento per la Vita, i gruppi collegati agli sportelli famiglia delle ACLI, gruppi UNITALSI, ... Sono presenti in un ampio numero di comunità locali. Ebbene, in tali casi è utile valorizzare queste presenze favorendone l’impegno -
Per accompagnare lo sviluppo di queste forme di solidarietà potrà essere opportuno organizzare come parrocchia -
Man mano sarà inoltre opportuno favorire il coinvolgimento di ulteriori famiglie della parrocchia in questo prezioso ambito di solidarietà, stimolandone l’adesione a tali gruppi.
Gruppi formativo-
Quasi in tutte le parrocchie sono presenti gruppi, movimenti e associazioni ecclesiali che aggregano famiglie. Innanzitutto i "gruppi famiglia" parrocchiali, animati direttamente dal parroco o da qualche famiglia della parrocchia o, ancora, dall’Ufficio Diocesano di Pastorale Familiare. Tra le tante realtà che arricchiscono la vita ecclesiali, ve ne sono alcune che annoverano all’interno del proprio carisma l’impegno solidaristico e quindi più facilmente si può trovare la loro disponibilità.
Si tratta dei gruppi dell’Azione Cattolica adulti, di Famiglie Nuove del Movimento dei Focolari, di Comunione e Liberazione, della CVX -
Vi sono poi altri grandi movimenti e associazioni ecclesiali nei quali, pur prevalendo la formazione spirituale, si possono trovare belle disponibilità personali o comunitarie all’impegno solidaristico (Rinnovamento dello Spirito e altri gruppi carismatici, Cammino Neocatecumenale, ...). Con tutti questi gruppi, ove presenti e disponibili, sarà importante concordare modalità di impegno che si adattino al loro specifico carisma e alle loro attività ordinarie e che, al contempo, permettano lo sviluppo di azioni di solidarietà familiare.
Oratori parrocchiali
La realtà degli oratori merita un discorso specifico. Esso infatti per il carattere educativo-
Parallelamente all’organizzazione pratica delle varie iniziative, occorre prestare attenzione all’offerta di un adeguato contesto relazionale. Non basta coinvolgere le famiglie del territorio in una o più eventi. Occorre offrire loro la possibilità di fare conoscenza con le famiglie che animano l’oratorio. Quest’attenzione incide sulla natura e sulla modalità di svolgimento delle stesse attività oratoriali tenendo ben presente che contatti superficiali e indistinti raramente offrono l’occasione di entrare in relazione. Senza i giusti ingredienti si corre il rischio di organizzare iniziative belle ed onerose (in termini di tempo, energie fisiche e mentali, fondi) ma poco efficaci sul piano del coinvolgimento di nuove famiglie e persone.
Per programmare adeguatamente l’offerta di relazioni, occorre innanzitutto ragionare sul tipo di relazione esistente all’interno degli animatori dell’oratorio. In alcuni casi gli animatori sono già costituiti in un gruppo ben coeso, con una sua vita interna fatta di condivisione, preghiera insieme. Altre volte si tratta di persone varie, alcune appartenenti ad altri gruppi parrocchiali, altre no, che si ritrovano insieme nello svolgimento pratico del servizio oratoriale. Spesso in questi casi gli animatori si incontrano solo per la realizzazione delle attività e per alcuni appuntamenti di programmazione e verifica operativa. Il parroco e gli operatori pastorali dovranno prestare particolare attenzione a queste situazioni per valutare come coinvolgere attivamente i gruppi di appartenenza dei vari animatori e/o come suscitare la nascita ex-
Un’altra considerazione da fare in merito agli oratori riguarda l’importanza che le attività di animazione collettive rivolte a bambini, ragazzi e famiglie siano integrate dalla presenza di azioni di accompagnamento individuale alle situazioni familiari in difficoltà. Accompagnamento che dovrà essere eminentemente relazionale e volto ad offrire a minori e famiglie innanzitutto alcune relazioni positive e significative. Per camminare in queste direzioni sarà importante mettere in conto alcuni appuntamenti formativi.
5. FAMIGLIE SOLIDALI TRA PARROCCHIA E TERRITORIO. CON CHI E COME COLLABORARE?
ANALISI DEI BISOGNI E DELLE RISORSE DEL TERRITORIO PARROCCHIALE
Parrocchia e territorio
«L’essere comunità di un territorio esprime la testimonianza al Vangelo che la parrocchia cerca di dare in un contatto privilegiato con la storia. La dimensione antropologica del territorio è profondamente cambiata e va cambiata conseguentemente la conversazione-
Tutto questo, perché, come affermava ancora il direttore, «la parrocchia può assumere il ruolo di soggetto che realizza cammini e proposte per promuovere un modello fraterno di relazioni, perché diventi cultura, stile, civiltà diffusa e condivisa. Nell’assumere questa responsabilità educativa, le parrocchie non possono non tener conto di tessuti sociali spesso logorati, segnati da voragini di solitudine: persone sole a mondo, che vivono ai margini. Rientrano in quest’ambito ambito anche le relazioni con le istituzioni del pubblico e del privato, in cu le parrocchie non possono rinunciare alla funzione di sentinelle della responsabilità e della giustizia nei confronti del territorio e di tutti quelli che lo abitano, in particolare dei poveri».
Nell’approfondire il rapporto tra parrocchie e territorio, pur essendo il nostro discorso concentrato sullo specifico ambito tematico della solidarietà familiare, appare utile richiamare nel presente paragrafo l’importanza di una costante ed adeguata analisi dei bisogni e delle risorse locali.
Ascoltare, osservare e discernere
Nell'aprire il primo incontro del Coordinamento Nazionale "Carità è Famiglia", organizzato da Caritas Italiana a Roma nei giorni 27-
Questa condivisibile affermazione, sottolinea in modo efficace, l'importanza di seguire il cd. metodo caritas, articolato nei tre passaggi dell’ascoltare, dell’osservare e del discernere, di cui si parla oramai da quarant’anni. Nonostante l’anzianità del tema è sempre utile ripercorrerne i significati, poiché esso offre molti spunti di comprensione e interpretazione di quello che può essere il ruolo solidale di una Parrocchia nel territorio in cui essa vive ed opera.
L’ascolto, indica la disponibilità all’incontro con l’altro. Non un ascolto solo emotivo, o giudicante, o interessato, ma aperto alla libertà dell’altro, alla sua storia, alla sua vicenda. Ad ascoltare si impara, ma bisogna stare attenti a non ridurlo ad una tecnica. Esso è innanzitutto una predisposizione dell’ascoltatore a "fare spazio" all’altro. In tal senso l’ascolto rappresenta un modo d’essere, dei singoli e della comunità tutta. Quanto è importante che le parrocchie si impegnino nell’ascolto dei bisogni del territorio, attente anche ai segnali più nascosti.
L’osservazione, al pari dell’ascolto, indica attenzione all’altro. Essa manifesta tuttavia una dinamica propositiva, che prende iniziativa interessandosi (osservando) di tutte le vicende che interessano sia la vita interna alla comunità che quella dell’intero quartiere. Tutto interessa, perché, come diceva Paolo VI, «tutto ciò che è umano ci riguarda». La politica locale, la situazione economica delle famiglie e delle realtà di produzione e lavoro presenti nel territorio, le tragedie e i lutti di tutti -
Il discernimento, conseguenza dell’ascolto e dell’osservazione, precede e prepara l’azione. È il moto attraverso il quale si tenta di "comprendere" le situazioni, di capire se, come e quando intervenire. Non un discernimento distante e asettico, come se si fosse in un laboratorio di analisi, bensì un cammino in cui si è in gioco in prima persona.
Conoscere in profondità i bisogni e le risorse
L’attività di approfondimento della realtà del contesto in cui la parrocchia è situata non può mai dirsi conclusa, richiede una costante presenza e la partecipazione attiva a processi che non possono essere compresi da uno sguardo esterno. Gli ambiti cui prestare attenzione sono ampi e articolati. Si riporta di seguito una serie di possibili linee di approfondimento, connesse direttamente o indirettamente al tema della solidarietà familiare. Si avrà attenzione a ragionare sia in termini di bisogni che di risorse.
Famiglie e minori: iniziando con uno sguardo sul mondo minorile e familiare.
Quanti bambini, ragazzi e famiglie risiedono nel territorio e quanti di questi frequentano la parrocchia?
Quali sono le situazioni di emarginazione o di disagio: famiglie in crisi coniugale, famiglie monoparentali, famiglie con difficoltà economiche (abitazione, lavoro, ...), famiglie immigrate, famiglie nomadi, ...?
Quando una famiglia o un minore è in crisi vi sono "antenne" sul territorio (insegnanti, genitori dei compagni di classe, responsabili di associazioni sportive, ...) che ne intercettano precocemente il bisogno e favoriscono l’attivazione tempestiva di adeguate forme di tutela? Se "no", quale ruolo la Parrocchia potrebbe svolgere per favorire lo sviluppo di una rete di antenne? Se "sì", quale ruolo la Parrocchia svolge in questo sistema di monitoraggio del territorio?
Vi sono forme di incontro, aggregazione, mutuo-
Famiglie e anziani. Gli anziani costituiscono una componente sempre più rilevante nell’assetto demografico delle famiglie residenti nel territorio.
Quanti e quali anziani risiedono nel territorio? Quanti di questi vivono a soli? Quanti sono i nuclei familiari con uno o più anziani? Quanti di questi sono composti solo da anziani? Quanti anziani vivono da soli? Quanti sono privi di una rete parentale effettivamente presente?
Quanti e quali anziani frequentano la parrocchia? quanti sono coinvolti e valorizzati mettendo a disposizione il loro tempo, idee, competenze e sensibilità?
Vi sono forme volontariato organizzato degli anziani?
Quanti e quali sono gli anziani che vivono situazioni di malattia e infermità gravi? Quanti di questi sono non-
Quanti e quali sono gli anziani che vivono situazioni di difficoltà economica, abitativa,
Famiglie immigrate: vi sono famiglie immigrate che risiedono nel territorio della parrocchia? Se "sì" di quale nazionalità e religione sono? Se sono cattolici cosa si fa per favorirne l’inserimento nella comunità parrocchiale? Quali sono le loro condizioni di vita e quali i principali bisogni di cui sono portatrici?
Famiglie con particolari disagi: sarebbe importante indagare ogni altro ambito del disagio familiare: famiglie con situazioni di disagio mentale? Famiglie con situazioni di disabilità o malattia grave? Famiglie con un genitore in carcere? Famiglie con un genitore emigrato per lavoro? Famiglie composte da soli anziani e minori? Famiglie con figli allontanati dai servizi sociali? ...
Uno sguardo completo sul territorio parrocchiale deve poter volgere l’attenzione anche alle risorse, sia formali che informali.
Le prime sono rappresentate dai servizi e dalle attività strutturate, innanzitutto del settore pubblico, dal privato commerciale, dal volontariato e dal privato sociale, nell’ambito socio-
Per risorse informali intendiamo le disponibilità di aiuto non strutturate, a cui si è fatto accenno anche sopra, composte da singoli cittadini e famiglie, gruppi spontanei di varia natura, etc.
Di queste risorse è utile costruire una "mappa" indicante l’ubicazione nel territorio.
Particolare attenzione va data alla presenza delle c.d. "struttura di sofferenza" e cioè ospedali, carceri.
Per l’individuazione delle risorse è utile farsi aiutare dall’Osservatorio diocesano delle povertà, organo attivato dalla gran parte delle Caritas diocesane. Informazioni preziose possono inoltre essere reperite presso le istituzioni pubbliche del territorio oltre che tramite indagine diretta.
La rilevazione delle risorse formali è invece più complessa, in quanto ha a che fare con disponibilità diffuse e non strutturate, sotto forma di solidarietà individuale, familiare, di gruppo, di vicinato, di quartiere, di comunità. La fonte principale di rilevazione sono i rapporti che direttamente la Parrocchia ha con tali persone.
La promozione di una densa rete di solidarietà familiare, di diffusi percorsi di prossimità e attenzione all’altro abbisogna di ampie e solide alleanze tra la parrocchia e le altre agenzie operanti nel contesto locale. Tanti e diversi possono essere a tale riguardo gli interlocutori con cui intessere relazioni e sinergie. Ci si sofferma di seguito a riflettere sulle modalità di raccordo con alcuni tra i principali partner potenziali.
Collaborare con le scuole
La Conferenza Episcopale Italiana, nel tratteggiare gli orientamenti pastorali di questo decennio ha dedicato un’attenzione specifica al rapporto tra Chiesa e mondo della scuola, statale e non statale. In particolare ha sottolineato che, in un contesto in cui «la scuola si trova oggi ad affrontare una sfida molto complessa, che riguarda la sua stessa identità e i suoi obiettivi», la comunità cristiana «vuole intensificare la collaborazione permanente con le istituzioni scolastiche» affinché essa «promuova, anzitutto, una cultura umanistica e sapienziale ... la cittadinanza e i valori che la sorreggono: la solidarietà, la gratuità, la legalità e il rispetto delle diversità ... mantenendo aperto il dialogo con gli altri soggetti educativi – in primo luogo la famiglia» (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, 46).
In questa cornice emerge chiaro quanto nei territori le singole Parrocchie siano chiamate ad investire energie e attenzioni nella costruzione di ogni utile raccordo con le realtà scolastiche. Uno degli ambiti in cui tale prospettiva può svilupparsi positivamente è quello della promozione della solidarietà familiare. La scuola infatti rappresenta sia un importante osservatorio, in grado di rilevare in modo precoce sia il manifestarsi dei bisogni di bambini e ragazzi che l’insorgenza di segnali di malessere delle famiglie, sia un prezioso luogo di promozione della cultura della solidarietà e di attivazione di reti di mutuo-
Sul versante della lettura precoce del disagio, sarà importante che il Parroco, gli operatori pastorali e le famiglie solidali costruiscano per tempo le necessarie intese e sintonie con i dirigenti e gli insegnanti delle scuole del quartiere. Fermo restando il rispetto delle norme in materia di privacy e riservatezza (che, opportunamente, impediscono al personale scolastico di rivelare agli operatori parrocchiali una serie di informazioni riservate inerenti i minori e le famiglie in difficoltà), gli insegnanti potranno orientare le famiglie in difficoltà verso la fruizione di occasioni di incontro, di ascolto, di primo sostegno, ... che all’uopo il gruppo di famiglie solidali potrà attivare (sostegno scolastico pomeridiano individuale o di gruppo, passeggiate e momenti di socializzazione aperti alle famiglie della scuola, ...).
Per quanto riguarda l’attività di promozione della cultura della reciprocità e della solidarietà familiare, la scuola -
In particolare un contesto nel quale sovente emergono alcune famiglie aggregatrici è quello dei rappresentanti di classe. Difatti una parte dei genitori che si rendono disponibili a tale attività lo fanno proprio a partire da uno spiccato senso pro-
È inoltre importante tenere presente che, sovente, costoro hanno già intessuto, con alcuni dei genitori della classe che rappresentano, un buon reticolo relazionale. Reticolo che andrà valorizzato mediante modalità che coinvolgano positivamente tali aggregazioni, parte delle quali potrà maturare fino al punto da divenire porzione importante del futuro gruppo di famiglie solidali che si intende sviluppare.
La scuola dell'inclusione
L’attenzione della scuola nel sostegno agli alunni in difficoltà è stata recentemente amplificata dalla progressiva attenzione che il sistema scolastico italiano negli ultimi anni ha riposto dapprima con la Legge 170/10 e le connesse Linee Guida del 12 luglio 2011 in materia di inclusione dei ragazzi con DSA -
Collaborare con i medici di base
I medici di famiglia, ed in particolare i pediatri di base, sono -
Collaborare con tutte le realtà del quartiere
«La comunità cristiana offre il suo contributo e sollecita quello di tutti perché la società diventi sempre più terreno favorevole ... all’accoglienza dell’altro e alla solidarietà» (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, 50). Così i vescovi italiani descrivono l’interesse generale della Chiesa al raccordo con "tutte" le realtà operanti nel territorio.
Davvero innumerevoli possono essere le sinergie attivabili. Senza pretesa di completezza ci si limita ad indicarne alcune:
Collaborazione con le associazioni sportive, artistiche, culturali, ... Assai preziosa, in una strategia di promozione della solidarietà familiare, può essere la collaborazione con quelle realtà associative presenti nel territorio ed operanti nei campi dello sport, dell’arte, della musica, del teatro, della cultura, dell’ambiente, della legalità, etc. La sinergia può svolgersi in vari modi: con la disponibilità di queste realtà a seguire, gratuitamente, bambini e ragazzi segnalati dalla Parrocchia; con la possibilità che tali realtà collaborino alla organizzazione concreta di iniziative specifiche direttamente in seno al contesto parrocchiale (tornei amatoriali, laboratori artistici, ...); con l’eventuale disponibilità a diffondere presso la propria clientela gli inviti alla solidarietà lanciati dalla Parrocchia.
Collaborazione con i Condomini. In collaborazione con gli amministratori di condominio si può rilevare precocemente l’insorgenza di difficoltà e problematiche delle famiglie del territorio e, al contempo, si può tentare di costruire intorno ad esse una "attenzione solidale" da parte degli altri condomini.
Gli esercizi commerciali di prossimità. Sono i terminali locali della catena di distribuzione commerciale di beni e servizi: alimentari, bar e tabacchi, farmacie. Con adeguate sinergie si possono pubblicizzare le iniziative parrocchiali nel campo della solidarietà familiare e, in taluni casi, organizzare iniziative insieme (ad esempio un laboratorio di aggregazione interfamiliare intorno al tema della "cucina", organizzato sulla base di "lezioni gratuite" donate dai cuochi delle tavole calde presenti nel quartiere).
Nel 2000 il sistema dei servizi e degli interventi sociali italiano è stato oggetto di una importante legge quadro n. 328 (la precedente risaliva al governo Crispi del 1890) che ne ha radicalmente ridefinito l’impianto orientandolo non più verso politiche sociali di tipo "residuale" (cioè limitate ad offrire risposte ai casi di disagio grave) bensì lanciando il Paese verso una promozione "universalistica" del benessere sociale. Si è dunque passati -
In questo scenario confuso e precario si collocano gli interventi pubblici nell’ambito della c.d. "tutela dei minori e delle responsabilità familiari", comprensive della tutela dell’infanzia e dell’adolescenza e del benessere dell’intero nucleo familiare. Stando alla legge del 2000 ed anche a numerose altre normative regionali in campo sociale, ogni territorio dovrebbe essere servito da adeguati "centri per le famiglie" in grado di assicurare consulenza e sostegno alle relazioni familiari (sia di coppia che genitoriali). Altri interventi dovrebbero riguardare la diffusione degli asili nido sul territorio nazionale in modo da permettere alle madri che hanno avuto un figlio di rientrare più facilmente e celermente sul posto di lavoro. Dovrebbero poi esservi servizi specifici a sostegno di bambini e ragazzi finalizzati a favorire il buon esito del percorso scolastico, ad assicurare spazi di aggregazione e ogni altro stimolo utile al loro sano sviluppo. C’è poi l’ampio tema del sostegno socio-
Purtroppo tutto questo viene realizzato con grande discontinuità territoriale, al punto da comporre uno scenario a macchia di leopardo in cui a zona di eccellenza si affiancano, a pochi chilometri di distanza, contesti gravemente sguarniti. In un recente convegno internazionale, promosso a Padova dalla Fondazione Zancan, si affermava che in Italia «la residenza fa la differenza».
C’è infine da considerare la competenza delle ASL in materia di supporto socio-
Considerato lo scenario di cui sopra, una delle prime cose che una Parrocchia deve fare se intende promuovere percorsi di solidarietà familiare è quella di informarsi circa i servizi effettivamente disponibili nel proprio territorio e sulle relative modalità di erogazione. Ancor più farà bene a contattare i singoli operatori sociali per costruire, ove possibile un’adeguata conoscenza interpersonale (condizione indispensabile per una buona collaborazione inter-