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Volontariato a rischio
Molti studi sociologici sono concordi nel ritenere che nella storia del volontariato italiano siano individuabili due fasi: una, ascendente, che procede dalla metà degli anni settanta e giunge fino agli inizi degli anni novanta. L'altra, discendente, le cui prime avvisaglie sono emerse nel corso degli anni novanta e che sta più esplicitamente manifestandosi - e accelerando - dal 2000 in poi.
Gli elementi che caratterizzano questa crisi sono vari. Senza la pretesa di essere esaustivi cerchiamo di tratteggiare lo scenario generale mettendo in evidenza tre "movimenti peggiorativi":
1°) Un primo movimento è quello del progressivo avvicinamento del Volontariato alla Pubblica Amministrazione e al Mercato, ed ha a che fare con i meccanismi di gestione dei servizi sociali. Nella fase attuale del welfare italiano, le organizzazioni di terzo settore (Organizzazioni di volontariato ed altri soggetti no-profit) sono chiamati a giocare un ruolo sempre più importate nella costruzione del benessere sociale. Questo bisogno determina il sempre maggiore coinvolgimento delle Organizzazioni di volontariato nella gestione dei servizi. I risultati delle ricerche relative all'applicazione della legge di riforma dei servizi sociali (legge 328/00) evidenziano che quanto più le organizzazioni solidaristiche vengono coinvolte nella gestione dei servizi, tanto più esse si strutturano (ad esempio, trasformandosi da associazioni di volontariato in imprese sociali). Quanto più, però, esse si strutturano, tanto più perdono in termini di efficacia e di "capacità istituente", cioè capacità di indurre miglioramenti generali e stabili del contesto sociale e istituzionale, creando una sorta di "effetto boomerang". Spesso, professionalizzandosi, viene sempre più a mancare quel valore aggiunto di motivazione, gratuità e spirito di servizio che rappresenta il plus distintivo del volontariato e del no-profit in generale. L'impressione, in questo quadro, è che il terzo settore si vada svolontarizzando, divenendo sempre più prossimo alle istituzioni (para-stato) e alle imprese (para-mercato).
2°) Il secondo movimento riguarda l'allontanamento del Volontariato da se stesso. Gli indicatori quantitativi sul volontariato - citati anche sopra - indicano che, a fronte del crescente numero delle associazioni, non aumenta il numero complessivo dei volontari, pressoché stabile nel tempo. Ne consegue che le organizzazioni di volontariato sono sempre più piccole. Confrontando questo dato con la difficoltà che le OdV hanno di collegarsi tra di loro in modo stabile e non meramente funzionale e con la crisi delle grandi reti di volontariato degli anni 70-90 (una per tutte il MoVI - Movimento di Volontariato Italiano) già da alcuni si parla di polverizzazione del volontariato, che evolve in forme, sempre più individualistiche, di competizione e antagonismo tra le associazioni (per aggiudicarsi il bando, il contributo, ...).
3°) Il terzo movimento, connesso ai primi due, è il progressivo allontanamento del Volontariato dalla Comunità. La sempre più forte dipendenza economica nei confronti degli enti pubblici, che caratterizza il volontariato e il terzo settore tutto - che ne causa una forte limitazione dell'autonomia progettuale e operativa - è il segno della ridotta capacità di mobilitare le risorse economiche della comunità (sotto la forma "classica" della liberalità). Le tendenze individualistiche sopra richiamate riducono inoltre la capacità di promuovere la disponibilità di nuove persone al volontariato come pure scema la capacità di produrre capitale sociale (cioè di potenziare i processi di fiducia e reciprocità tra i membri della comunità). Volontariato e Comunità diventano così sempre più lontani e reciprocamente indifferenti.

Promuovere la solidarietà comunitaria

Non pochi studiosi, tra i quali gli italiani Pier Paolo Donati, Ivo Colozzi, ed altri, dal alcuni anni sostengono che si debba puntare su un nuovo welfare, che essi definiscono "societario".
Un welfare che, non potendo contare sulle risposte fino ad oggi fornite da Stato, Mercato e Terzo Settore, si basi sul cd. "quarto settore", cioè sulle risorse solidali "autenticamente" comunitarie (famiglie, reti informali, piccolo associazionismo).
É con lo sviluppo di questo settore che la logica comunitaria del dono e della reciprocità, può bilanciare la logica privata dello "scambio" e la logica pubblica della "redistribuzione coatta". Alcuni di questi ritengono che sia proprio da tale quarto settore che si debba partire per riattivare un duraturo e ampio processo di "sviluppo solidale" della nostra società.
Per far questo bisogna rileggere e rivivere il concetto di volontariato e di solidarietà passando dall'idea del "dono delle risorse in surplus" all'idea della "condivisione reciproca di bisogni e risorse". Occorre cioè ripensare la solidarietà in chiave simmetrica, superando la dicotomia tra benefattore e beneficiario, riconoscendo che tutti siamo bisognosi gli uni degli altri e che, al contempo, tutti - anche le cd. persone deboli - sono risorsa.
In questa linea si stanno sperimentando in vari luoghi d'Italia processi di riattivazione, dal basso, di legami di vicinanza e di prossimità. Significativo, ad esempio, il lavoro promosso in quest'ultimo anno dalla Caritas Italia con il progetto "Carità è famiglia".

E le Organizzazioni di Volontariato?
Potranno svolgere un importantissimo ruolo di rinnovamento sociale, ma solo nella misura in cui sapranno ritrovare le specifiche coordinate del loro agire: la gratuità dell'azione; la dimensione politica del loro impegno, cioè il saper migliorare le istituzioni e il terzo settore specializzato, piuttosto che sostituirli; il radicamento sociale, cioè lo stare con la gente, anziché per la gente.



SLIDE sulla Crisi del Volontariato
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FASI RELAZIONALI DI UN GRUPPO
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STRUTTURA RELAZIONALE
DEI GRUPPI SOLIDALI
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RETICOLAZIONE RELAZIONALE
DEI GRUPPI SOLIDALI
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ESERCIZIO di AUTOVALUTAZIONE
della COESIONE DEI GRUPPI
(scarica il pdf delle diapositive)

 
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